Enuresi
L’enuresi è un disturbo caratterizzato dall’emissione involontaria e incosciente di urina, solitamente durante il sonno, in bambini oltre i cinque anni, età in cui generalmente dovrebbero aver ormai acquisito il controllo degli sfinteri.
Per una corretta diagnosi di enuresi è necessario che tale comportamento sia presente con una certa frequenza (almeno tre volte a settimana per un periodo di almeno 3 mesi).
L'enuresi è un problema piuttosto comune che interessa circa il 27% dei bambini dell’età di 4 anni, il 15% a 5-6 anni, il 6-7% a 9-10 anni, il 3% a 12 anni e l’1% a 18 anni.
Nella maggior parte dei casi il problema si manifesta solo di notte, ma spesso sono presenti sintomi urinari anche di giorno: aspettare l’ultimo istante per andare a fare la pipì, bagnare le mutandine, urinare troppo spesso o troppo raramente, non svuotare completamente la vescica, accovacciarsi e stringere le gambe per trattenere la pipì ecc…
L’enuresi infantile può manifestarsi in due diverse forme:
Trattamento
Nel valutare un caso di enuresi infantile, la prima cosa da fare è escludere la presenza di cause fisiche (infezioni urinarie o anomalie anatomiche) attraverso un consulto pediatrico.
Potendo escludere cause organiche, si procede alla ricerca di altri fattori causali e in base all’esito dell’indagine si pianifica il tipo di intervento (farmacologico o comportamentale).
In ogni caso, l’atteggiamento dei genitori verso il proprio figlio è decisivo. Possono costituire fattori di mantenimento del disturbo sia un atteggiamento rigido e colpevolizzante, sia uno di tipo permissivo e negligente. In questi casi è più efficace un atteggiamento comprensivo.
Nel caso in cui anche i genitori abbiano sofferto di enuresi, comunicarlo al figlio può avere un effetto rassicurante. Infatti, il sapere che anche il papà o la mamma hanno avuto lo stesso problema e lo hanno superato può essere fonte di conforto e facilitando la risoluzione del problema.
Nel valutare quale intervento sia più corretto occorre considerare che l’enuresi è un fenomeno che si risolve, nella quasi totalità dei casi, spontaneamente. Gli interventi che vengono attuati sono tesi ad accelerare la maturazione del controllo della vescica e/o a ridurre il volume totale di liquidi che arrivano alla vescica durante la notte.
Il fine è quello di permettere al bimbo di condurre una vita normale affinché non debba per esempio rinunciare ad occasioni quali campeggi, gite scolastiche, soggiorni in casa di amici, e di evitare che il bambino possa manifestare un disagio a livello psicologico.
L’intervento è sostanzialmente di due tipi: farmacologico o comportamentale.
L’intervento farmacologico si base prevalentemente sul uso della desmopressina (una sostanza simile all’ormone antidiuretico naturale ADH), la cui azione principale consiste nella riduzione della produzione di urina da parte dei reni, attraverso la ritenzione dei fluidi e la concentrazione delle urine a livello dei tubi distali, riducendo così il rischio di rilascio involontario della pipì.
Attraverso l’utilizzo di farmaci si può ottenere un iniziale incremento del controllo urinario, ma alla sospensione della somministrazione possono manifestarsi frequenti ricadute. Per questo motivo sarebbe opportuno associare ad un trattamento farmacologico un intervento comportamentale.
L’intervento comportamentale richiede certamente un tempo un po’ più lungo rispetto a quello farmacologico, ma permette di mantenere a lungo termine i risultati raggiunti.
L’obiettivo di tale intervento è agire concretamente sul comportamento del bambino, utilizzando un sistema di incentivi che lo diriga verso l’acquisizione del comportamento desiderato (toilette appropriata, autocontrollo, autonomia) e l’eliminazione di quello indesiderato (bagnare il letto).
A tal fine può risultare opportuno una “rieducazione minzionale”, una sorta di ginnastica per abituare la vescica a svuotarsi nei tempi e modi corretti. A ciò si accompagna un intervento psicoeducazionale e un continuo monitoraggio dello stato psicologico del bambino, dei suoi aspetti emotivi (ansie, paure, sentimenti di vergogna) e motivazionali per evitare che possa instaurarsi un atteggiamento errato nei confronti del problema, connotato da eccessiva apprensione e/o colpevolizzazione.
Per una corretta diagnosi di enuresi è necessario che tale comportamento sia presente con una certa frequenza (almeno tre volte a settimana per un periodo di almeno 3 mesi).
L'enuresi è un problema piuttosto comune che interessa circa il 27% dei bambini dell’età di 4 anni, il 15% a 5-6 anni, il 6-7% a 9-10 anni, il 3% a 12 anni e l’1% a 18 anni.
Nella maggior parte dei casi il problema si manifesta solo di notte, ma spesso sono presenti sintomi urinari anche di giorno: aspettare l’ultimo istante per andare a fare la pipì, bagnare le mutandine, urinare troppo spesso o troppo raramente, non svuotare completamente la vescica, accovacciarsi e stringere le gambe per trattenere la pipì ecc…
L’enuresi infantile può manifestarsi in due diverse forme:
- Enuresi primaria. Il bambino, oltre i 4-5 anni, bagna il letto senza aver mai acquisito il controllo delle minzioni notturne (85% dei casi). In questo caso, l’enuresi può essere attribuita a un ritardo della maturazione della vescica e dello sfintere vescicale, un piccolo muscolo che funziona da valvola e che impedisce alla pipì di essere rilasciata involontariamente. Questo controllo si acquisisce normalmente verso il quarto anno di vita. Un’altra possibile causa può essere una carenza a livello ormonale. Nello specifico, una ridotta presenza dell’ormone ADH può ostacolare l’acquisizione del controllo sfinterico. Tale ormone, infatti, è deputato al controllo della produzione di urina durante la notte, circa la metà rispetto a quella prodotta di giorno.
- Enuresi secondaria. Il bambino, dopo i 4-5 anni, ricomincia a bagnare il letto, dopo aver raggiunto e mantenuto, per almeno 5-6 mesi, il controllo notturno della minzione (15% dei casi). In questo caso è possibile che il disturbo possa dipendere da particolari situazioni emotive e stressanti (problemi di salute, la nascita di un fratellino, l’inserimento a scuola, tensioni familiari, ecc).
Trattamento
Nel valutare un caso di enuresi infantile, la prima cosa da fare è escludere la presenza di cause fisiche (infezioni urinarie o anomalie anatomiche) attraverso un consulto pediatrico.
Potendo escludere cause organiche, si procede alla ricerca di altri fattori causali e in base all’esito dell’indagine si pianifica il tipo di intervento (farmacologico o comportamentale).
In ogni caso, l’atteggiamento dei genitori verso il proprio figlio è decisivo. Possono costituire fattori di mantenimento del disturbo sia un atteggiamento rigido e colpevolizzante, sia uno di tipo permissivo e negligente. In questi casi è più efficace un atteggiamento comprensivo.
Nel caso in cui anche i genitori abbiano sofferto di enuresi, comunicarlo al figlio può avere un effetto rassicurante. Infatti, il sapere che anche il papà o la mamma hanno avuto lo stesso problema e lo hanno superato può essere fonte di conforto e facilitando la risoluzione del problema.
Nel valutare quale intervento sia più corretto occorre considerare che l’enuresi è un fenomeno che si risolve, nella quasi totalità dei casi, spontaneamente. Gli interventi che vengono attuati sono tesi ad accelerare la maturazione del controllo della vescica e/o a ridurre il volume totale di liquidi che arrivano alla vescica durante la notte.
Il fine è quello di permettere al bimbo di condurre una vita normale affinché non debba per esempio rinunciare ad occasioni quali campeggi, gite scolastiche, soggiorni in casa di amici, e di evitare che il bambino possa manifestare un disagio a livello psicologico.
L’intervento è sostanzialmente di due tipi: farmacologico o comportamentale.
L’intervento farmacologico si base prevalentemente sul uso della desmopressina (una sostanza simile all’ormone antidiuretico naturale ADH), la cui azione principale consiste nella riduzione della produzione di urina da parte dei reni, attraverso la ritenzione dei fluidi e la concentrazione delle urine a livello dei tubi distali, riducendo così il rischio di rilascio involontario della pipì.
Attraverso l’utilizzo di farmaci si può ottenere un iniziale incremento del controllo urinario, ma alla sospensione della somministrazione possono manifestarsi frequenti ricadute. Per questo motivo sarebbe opportuno associare ad un trattamento farmacologico un intervento comportamentale.
L’intervento comportamentale richiede certamente un tempo un po’ più lungo rispetto a quello farmacologico, ma permette di mantenere a lungo termine i risultati raggiunti.
L’obiettivo di tale intervento è agire concretamente sul comportamento del bambino, utilizzando un sistema di incentivi che lo diriga verso l’acquisizione del comportamento desiderato (toilette appropriata, autocontrollo, autonomia) e l’eliminazione di quello indesiderato (bagnare il letto).
A tal fine può risultare opportuno una “rieducazione minzionale”, una sorta di ginnastica per abituare la vescica a svuotarsi nei tempi e modi corretti. A ciò si accompagna un intervento psicoeducazionale e un continuo monitoraggio dello stato psicologico del bambino, dei suoi aspetti emotivi (ansie, paure, sentimenti di vergogna) e motivazionali per evitare che possa instaurarsi un atteggiamento errato nei confronti del problema, connotato da eccessiva apprensione e/o colpevolizzazione.